Il Libro di Krishna

 

CAPITOLO 49

 

Krishna erige il forte di Dvaraka

 

 

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Kamsa moriva lasciando due vedove. Nella società vedica, la donna non è mai indipendente, in nessuna delle tre fasi della sua vita. Nell'infanzia, infatti, ella vive sotto la protezione del padre, nella giovinezza e nell'età adulta sotto la protezione dello sposo, e nell'eventuale vedovanza troverà la protezione dei figli ormai cresciuti, oppure della casa paterna, dove tornerà dopo la morte del marito. Pare che Kamsa non avesse figli adulti, perciò le sue spose, una volta vedove, tornarono a vivere sotto la protezione del padre, che era il re Jarasandha, signore della provincia del Bihar, conosciuta allora come Magadharaja. Tornate a casa, le due regine, Asti e Preapti, descrissero al padre la penosa condizione in cui le lasciava la morte di Kamsa. Dopo aver udito il loro pietoso racconto, Jarasandha, il re di Magadha, indignato, decise subito di cancellare gli Yadu dalla faccia della Terra: Krishna aveva ucciso Kamsa, l'intera dinastia degli Yadu doveva dunque perire.

Deciso ad attaccare Mathura, il re predispose ampie misure. Mobilitò migliaia di carri, elefanti, cavalli e soldati di fanteria; e con tredici legioni scese in campo e circondò Mathura, la capitale dei re Yadu, per vendicare la more di Kamsa. Sri Krishna, nella parte di un uomo comune, vide la formidabile potenza di Jarasandha, un oceano di armi e di guerrieri, un oceano sul punto d'inondare tutta una spiaggia, vide il terrore degli abitanti di Mathura e rifletté sulla Sua missione di avatara come affrontare questa nuova situazione? Lo scopo della Sua missione era quello di ridurre il fardello dei popoli, ed ecco giunta l'occasione di affrontare in una sola volta tanti uomini, carri, elefanti e cavalli. La potenza militare di Jarasandha si schierava di fronte a Lui in tutta la sua imponenza ed Egli l'avrebbe annientata senza lasciare ai nemici il tempo di battere in ritirata e riorganizzarsi.

Mentre Sri Krishna era assorto in questi pensieri, due carri da guerra, perfettamente equipaggiati di auriga armi stendardi e altri oggetti bellici, apparvero in cielo e scesero davanti a Lui. Krishna Si rivolse allora a Suo fratello Balarama, chiamato anche Sankarsana: "Mio caro fratello maggiore, Tu sei il migliore degli arya, il Signore dell'universo, e in particolare degli Yadu che sono ora terrorizzati di fronte all'esercito di Jarasandha. Prendi posto sul Tuo carro, che è là, ben armato, e proteggili; vai ad affrontare tutti quei guerrieri nemici e distruggi la loro potenza. Noi siamo scesi sulla Terra al fine di eliminare questi inutili spiegamenti di forze militari e proteggere i virtuosi bhakta. Ecco l'occasione di adempiere la Nostra missione. Andiamo dunque!" Così, Krishna e Balarama, discendenti di Dasarha, il re di Gadadha, decisero di annientare le tredici legioni di Jarasandha.

Krishna salì sul carro condotto da Daruka, e al suono delle conchiglie uscì dalla città seguito da un piccolo esercito. Stranamente, benché il nemico fosse di molto superiore per numero e armamenti, quando il suono della conchiglia di Krishna giunse alle orecchie dei guerrieri di Jarasandha, il loro cuore tremò. Scorgendo Krishna e Balarama, Jarasandha fu preso da un sentimento di compassione perché quei due fratelli, in fondo, erano suoi nipoti; poi, rivolgendosi a Krishna, Lo chiamò Purusadhama, il più vile tra gli uomini, mentre le scritture vediche glorificano Krishna come Purusottama, il più elevato tra gli uomini: Jarasandha non intendeva certo chiamare Krishna Purusottama, ma grandi eruditi hanno messo in luce il vero significato del termine Purusadhama: "Colui che con la sua presenza fa scomparire ogni altra personalità". In realtà, nessuno può uguagliare o superare Dio, la Persona Suprema.

Jarasandha continuò: "E' un grande disonore per me combattere contro ragazzi come Krishna e Balarama." Krishna aveva ucciso Kamsa, perciò Jarasandha Lo chiamo "assassino dei propri parenti". Senza ricordare il fatto che Kamsa aveva trucidato tanti suoi nipoti , Jarasandha accusò Krishna di aver ucciso Kamsa, Suo zio materno. Comportamento, questo, proprio degli asura che cercano sempre di sottolineare gli errori altrui, senza considerare i propri. Jarasandha, inoltre, rinfacciò a Krishna di non essere uno ksatriya; infatti Nanda Maharaja, suo padre adottivo, era un vaisya. E i vaisya sono generalmente chiamati gupta, termine che può anche significare "nascosto". Perciò Krishna era stato allo stesso tempo nascosto e allevato da Nanda Maharaja. Jarasandha Gli rivolgeva dunque tre accuse: l'uccisione dello zio materno, il fatto che Krishna era stato nascosto durante l'infanzia e il fatto che non era neppure uno ksatriya. Per questi motivi Jarasandha si vergognava di combattere contro di Lui.

"E Tu, rivolgendosi a Balarama, se vuoi, puoi combattere accanto a Lui e aspettare, se hai pazienza, di essere trafitto dalle mie frecce. Potrai così raggiungere i pianeti celesti." La Bhagavad-gita afferma che uno ksatriya che combatte può essere benedetto in due modi: con i frutti della propria vittoria se esce vincitore, e se muore, con l'accesso ai pianeti celesti.

Alle parole di Jarasandha, Krishna rispose: "O re, i veri eroi sono di poche parole perché dimostrano con i fatti il loro valore. Tu invece parli molto, sintomo, questo, che la tua morte è sicura in questa battaglia. Noi non vogliamo più ascoltarti perché è inutile ascoltare chi è in punto di morte o chi è in preda all'angoscia." Per combattere Krishna, Jarasandha Lo aveva fatto circondare da imponenti truppe da cui si levavano nubi di polvere che sembravano oscurare il sole. Così le schiere di Jarasandha coprirono Krsna , il sole supremo. Per assistere a quel meraviglioso combattimento, le donne di Mathura si affollarono sulle logge delle case e dei palazzi e alle porte della città, ma quando videro che il carro di Krishna, decorato con l'effigie di Garuda e con disegni di palme, era circondato dalle forze di Jarasandha, tale fu il loro sgomento che alcune svennero. Accerchiato da ogni lato, mentre i Suoi pochi soldati erano bersagliati e sopraffatti dal nemico, Krishna impugnò il Suo arco, Sarnga.

Sfilando una dopo l'altra le frecce dalla faretra, Egli tendeva l'arco e le scoccava contro il nemico con una mira così precisa che gli elefanti, i cavalli e i soldati di Jarasandha passarono ben presto al regno della morte. Quell'incessante pioggia di frecce pareva un turbine di fuoco che distruggeva tutte le armate di Jarasandha. Gli elefanti stramazzavano al suolo decapitati dalle frecce di Krishna, i cavalli crollavano travolgendo carri, stendardi e guerrieri, mentre la fanteria giaceva a terra, testa mani e gambe mozzate. Così persero la vita migliaia di elefanti e cavalli e si formò un fiume di sangue in cui le braccia mozze sembravano serpenti, le teste tartarughe, i cavalli squali, e gli elefanti isole alla deriva. Così, per la volontà suprema si era creato un grande fiume di sangue popolato dai consueti abitatori di un fiume. Le mani e le gambe dei soldati caduti galleggiavano come alghe e i loro archi trasportati dai flutti parevano onde in quel fiume di sangue dove rotolavano, come tanti ciottoli, le pietre preziose che avevano ornato generali e soldati .

Sri Balarama, detto anche Sankarsana, roteava la sua mazza con tanta audacia che il fiume di sangue creato da Krishna straripò. Allora, mentre i codardi inorridivano alla vista di quella scena agghiacciante, gli eroi presero a glorificare l'intrepidezza dei due fratelli, che col Loro valore avevano ridotto il vasto oceano delle truppe di Jarasandha a una misera pozzanghera. Chi può dire che quello fosse un combattimento come gli altri? La capacità mentale dell'uomo comune rimane impotente di fronte a questi avvenimenti, ma se vediamo in essi il divertimento di Dio, la Persona Suprema a cui nulla è impossibile, allora si potrà coglierne la verità. Il Signore Supremo crea mantiene e distrugge la manifestazione cosmica di Sua volontà; che cosa c'é dunque di straordinario in un massacro simile durante un combattimento contro il nemico? Eppure, poiché Krishna e Balarama stavano affrontando Jarasandha proprio come uomini comuni, le Loro gesta apparivano meravigliose.

Ben presto tutti i soldati di Jarasandha furono uccisi; solo Jarasandha rimaneva in vita, ma doveva essere molto scoraggiato. Sri Balarama lo afferrò con forza come un leone cattura un leone; e stava per legarlo con la corda di Varuna e altre più comuni, quando Sri Krishna, mirando a un piano più glorioso, Gli chiese di rilasciarlo. Jarasandha era libero; grande eroe nel combattimento, egli si vergognava così profondamente che decise di non vivere mai più da re, ma di ritirarsi nella foresta per meditare in severa austerità.

Ma sulla via del ritorno alcuni suoi compagni gli consigliarono di riorganizzare le forze per un futuro combattimento, cercando di convincere Jarasandha che la sconfitta era da attribuirsi solo alla sorte avversa. Il combattimento era stato indubbiamente eroico, non bisognava quindi prendere troppo sul serio quella sconfitta dovuta solo a qualche errore precedente; dopotutto, lui aveva combattuto in modo irreprensibile. Così i principi incoraggiarono il re Jarasandha.

Perduti tutti gli uomini e beffato nell'onore da una liberazione infamante, Jarasandha, re della provincia di Magadha, fece ritorno al suo regno. Così Sri Krishna vinse l'esercito di Jarasandha che era ben più potente del Suo, e senza perdere neppure un guerriero, un carro, un cavallo o un elefante, laddove gli uomini di Jarasandha erano morti tutti.

Gli abitanti dei pianeti celesti, al colmo della gioia, offrirono i loro rispetti al Signore cantando le Sue glorie e lasciando cadere su di Lui piogge di fiori; mostrarono così la loro ammirazione per la Sua vittoria. Jarasandha si era ritirato nel suo regno, e Mathura era al sicuro da ogni imminente attacco. Cantori professionisti, come i suta e i magadha, e i migliori poeti furono invitati dagli abitanti della città perché cantassero la vittoria di Sri Krishna; si sentivano le trombe le conchiglie, i timpani e mille altri strumenti -bherya, turya, vina, flauto e mridanga- che col loro suono armonioso offrivano al Signore, che entrava vittorioso nella città, una splendida accoglienza. Per l'occasione Mathura era stata pulita da cima a fondo e acqua era stata spruzzata su tutte le strade e i viali; gli incroci, le porte, le vie e i viali erano tutti parati a festa, e ognuno, nella sua felicità, aveva ornato la sua casa, il negozio o la sua strada con stendardi e festoni. Un po' dappertutto, gruppi di brahmana cantavano i mantra vedici. Per rendere ancora più bella la festa e più propizie le cerimonie, le signore e le ragazze di Mathura avevano intrecciato miriadi di ghirlande di fiori; poi, come vuole il costume vedico, avevano gettato qua e là yogurt misto a germogli d'erba per accrescere il carattere propizio di quei felici momenti di vittoria. Infine, quando il Signore percorse le strade della città, gli sguardi colmi d'affetto degli abitanti non si stancarono da Lui. Krishna e Balarama avevano riportato dal campo di battaglia un ricco bottino, ornamenti e gioielli, e ne fecero dono al re Ugrasena, offrendo così il Loro omaggio al nonno, il sovrano regnante della dinastia di Yadu.

Intanto Jarasandha, il re di Magadha, non soddisfatto di quel primo tentativo, attaccò la città ancora diciassette volte, sempre con la stessa strategia e con lo stesso numero di legioni. E ogni volta fu sconfitto e tutti i suoi soldati furono uccisi da Krishna; ogni volta, con suo grande disappunto, dovette battere in ritirata, come durante la prima sconfitta. Ogni volta i principi Yadu lo fecero prigioniero, e ogni volta lo rilasciarono in modo umiliante, e ogni volta Jarasandha, nonostante il disonore, osò fare ritorno al suo regno.

Durante una di queste campagne, un re Yavana, sovrano di una regione a sud di Mathura, attratto dalle ricchezze della dinastia Yadu, decise anch'egli di attaccare la città. Pare che questo re degli Yavana, Kalayavana, fosse stato istigato da Narada; comunque si può trovare la descrizione di questi avvenimenti nel Visnu Purana. Un giorno, Gargamuni, il sacerdote della dinastia Yadu, fu oggetto di sarcasmi da parte del cognato e quando, all'udire quelle parole pungenti, tutti i re Yadu risero di lui, Gargamuni s'irritò e pensò di generare un essere che avrebbe seminato il terrore tra i re Yadu. Così, dopo essersi attirato il favore di Siva, ottenne la benedizione di un figlio, Kalayavana, concepito con la sposa di un re Yavana. Passarono gli anni, e un giorno Kalayavana chiese a Narada chi fossero i re più potenti del mondo; Narada gli rispose che nessuno era più potente degli Yadu. Kalayavana decise allora di attaccare Mathura, la loro capitale, negli stessi giorni in cui Jarasandha tentava il suo diciottesimo assedio.

Kalayavana aveva sempre desiderato dichiarare guerra a un re di questo mondo, ma non aveva mai trovato un avversario degno di lui. Solo ora che Narada gli aveva parlato di Mathura vide realizzarsi la sua ambizione, e alla testa di trenta milioni di soldati parti all'attacco di Mathura. Nel frattempo Sri Krishna stava considerando la grave situazione in cui si trovava la dinastia Yadu, minacciata da due formidabili nemici, Jarasandha e Kalayavana. Non c'era tempo da perdere: la città era circondata da Kalayavana e per l'indomani si aspettava l'arrivo di Jarasandha con le sue legioni, che erano numerose almeno quanto quelle dei suoi diciassette tentativi precedenti. Krishna era sicuro che Jarasandha avrebbe approfittato dell'offensiva di Kalayavana per conquistare definitivamente Mathura; meglio quindi adottare le misure di precauzione necessarie per difendere i punti strategici della città, pensò. Se Krishna e Balarama fossero stati impegnati a respingere l'attacco di Kalayavana, nulla avrebbe impedito a Jarasandha di entrare da un altro lato della città e prendersi così la rivincita sui re Yadu.

Jarasandha era tuttora molto potente, e oltretutto le diciassette sconfitte precedenti potevano spingerlo per vendetta a massacrare tutta la famiglia Yadu o a farla prigioniera e portarla nel suo regno. Krishna decise allora di far costruire una fortezza eccezionale in un luogo dove nessun bipede, uomo o asura che fosse, avrebbe potuto raggiungerla. Là si sarebbe rifugiata la Sua famiglia, al sicuro da ogni pericolo, mentre Lui avrebbe combattuto liberamente contro il nemico. Sembra che Dvaraka facesse parte un tempo del regno di Mathura, perché lo Srimad-Bhagavatam c'informava che Krishna fece costruire la Sua fortezza in mezzo al mare. Ancora oggi si possono vedere nella baia di Dvaraka le rovine di questa fortezza.

Prima di tutto Krishna fece innalzare, nell'oceano, una possente muraglia che racchiudeva una superficie di 249 chilometri quadrati. Il progetto e la costruzione di questa favolosa opera furono affidati a Visvakarma; nessun altro architetto, infatti, avrebbe potuto erigere una fortezza simile, e per di più sul mare; ma Visvakarma, l'ingegnere dei deva, è in grado di creare capolavori strabilianti in qualsiasi parte dell'universo. Dopotutto, se pensiamo agli enormi pianeti che fluttuano senza peso nello spazio secondo l'ordine cosmico stabilito dal Signore Supremo, la costruzione di una fortezza di 249 chilometri quadrati in mezzo all'oceano non ci sembrerà poi un'impresa così straordinaria.

Lo Srimad-Bhagavatam ci descrive questa nuova città costruita sul mare, fortezza inespugnabile, Dvaraka: una rete di viali, strade e vicoli s'intersecavano armoniosamente con sentieri e giardini ricchi di kalpa-vrksa, gli alberi dei desideri, alberi speciali che si trovano solo nel mondo spirituale e che non hanno niente in comune con gli alberi che crescono quaggiù -ma per volontà del Signore Supremo tutto è possibile, anche piantare alberi dei desideri in una città marina. Ad accrescere la ricchezza di Dvaraka c'erano portali immensi di squisito gusto artistico, i gopura, -che ancora oggi si possono ammirare nei maggiori templi-, e magnifici palazzi che s'innalzavano fin quasi a toccare il cielo. Sui portali e sui palazzi splendevano giare d'oro per l'acqua (kalasa), poste lassù in segno di buon augurio. Di giare ricolme d'oro, d'argento e di cereali erano piene anche le cantine di ogni dimora, e altre giare d'oro colme d'acqua erano state poste qua e là nelle stanze. Le camere da letto erano incastonate di pietre preziose e i pavimenti erano mosaici di gemme marakata. In ogni casa, poi, era presente la murti di Visnu, adorata dai discendenti di Yadu. Ogni quartiere ospitava uno dei quattro varna -brahmana, ksatriya, vaisya e sudra-, indice che la divisione della società in differenti varna esisteva già a quell'epoca. Al centro si ergeva il palazzo del re Ugrasena con i suoi annessi, splendida città nel cuore della grande città.

Quando i deva seppero che Krishna stava facendo costruire una città secondo il suo gusto, Gli inviarono dai pianeti celesti il famoso fiore parijata per abbellire i giardini della città. Gli offrirono anche un palazzo per le assemblee, chiamato Sudharma, che si distingueva da tutti gli altri perché chiunque si riuniva in questo palazzo diventava immune dall'infermità e dalla vecchiaia. Varuna offrì un cavallo tutto bianco eccetto le orecchie, nere, che correva alla velocità del pensiero. Kuvera, il tesoriere dei deva, offrì l'arte di raggiungere le otto perfezioni dell'opulenza materiale. Così, ogni deva fece un dono particolare, secondo la sua capacità. Ci sono trentatré milioni di deva e ognuno si occupa di una sezione nell'amministrazione dell'universo, ma tutti vollero cogliere l'occasione per presentare le loro offerte al Signore Supremo che faceva costruire una città di Suo gusto, rendendo così Dvaraka unica nell'universo. Esistono dunque innumerevoli deva, ma nessuno di loro è indipendente da Krishna: Krishna è il Signore Supremo e tutti gli altri sono Suoi servitori, afferma il Caitanya-caritamrta. Così, tutti i servitori del Signore approfittarono della Sua presenza nell'universo materiale per offrirGli il proprio servizio; esempio, questo, che tutti dovrebbero seguire, in particolare coloro che sono nella coscienza di Krishna, perché essi dovrebbero offrire le loro capacità nel servizio al Signore.

Ultimata la costruzione della nuova città secondo i piani prestabiliti, Krishna vi accolse tutti gli abitanti di Mathura e affidò a Sri Balarama il ruolo di "padre della città". Poi, dopo esserSi consultato con Lui, il Signore uscì dalla città, con una ghirlanda di fiori di loto al collo e disarmato, per incontrare Kalayavana che aveva già attaccato Mathura.

Kalayavana non aveva mai visto Krishna prima di allora, e scorgendoLo mentre usciva dalla città rimase sbalordito dalla Sua bellezza eccezionale, resa ancor più straordinaria dai Suoi abiti gialli. Passando attraverso le linee dei Suoi guerrieri, Krishna sembrava la luna quando in cielo attraversa le nuvole. Nella sua fortuna Kalayavana riuscì anche a distinguere lo srivatsa, il segno che orna il petto di Sri Krishna , e il gioiello kaustubha che spicca sul Suo torace. Ma la forma di Krishna che egli vide fu quella di Visnu, dal corpo possente, con quattro braccia, e gli occhi come petali di fiori di loto appena sbocciati, Krishna era raggiante di felicità, la fronte elegante illuminava l'ovale meraviglioso del Suo volto, gli occhi erano sorridenti e vivaci, gli orecchini oscillavano. Era propri Lui, Krishna, di cui Kalayavana aveva sentito parlare un tempo nelle meravigliose descrizioni del saggio Narada. Ora rivedeva, nella realtà, tutti quei segni caratteristici, i gioielli sul petto, la splendida ghirlanda di fiori di loto, i Suoi occhi di loto, il profilo armonioso del Suo corpo; sì, ogni dettaglio corrispondeva alle descrizioni del saggio Narada; non c'era alcun dubbio: davanti a lui c'era Vasudeva in persona.

A un tratto Kalayavana si accorse con sorpresa che il Signore avanzava a piedi attraverso le Sue truppe, senza carro e senza alcun'arma in mano. Egli era venuto per affrontare Krishna, ma i princìpi militari, cui egli portava ancora rispetto, non gli permettevano di prendere le armi contro un nemico disarmato; avrebbero lottato dunque corpo a corpo. Così si preparò a catturare il Signore e a combattere. Ma Krishna passò oltre senza degnarlo di uno sguardo; e Kalayavana, sempre più determinato ad affrontarLo, fu costretto a rincorrerLo. Correva e correva ma non riusciva a raggiungerLo. Sri Krishna, che non può essere avvicinato neppure dalla velocità della mente dei grandi yogi ma può essere conquistato col servizio di devozione, non Si lasciava avvicinare da Kalayavana, che di servizio devozionale non aveva alcuna esperienza. Kalayavana dovette dunque accontentarsi di seguirLo a distanza.

Mentre accelerava la sua corsa, Kalayavana pensava: "Mi sto avvicinando, presto sarà nelle mie mani", e intanto Krishna lo portava più lontano; infine il Signore entrò in una grotta, sul pendìo di una collina. Allora Kalayavana credette che Krishna Si fosse rifugiato là dentro per paura del combattimento e Lo accusò aspramente: "Krishna, proprio Tu! Mi avevano parlato di Te come del più grande eroe della dinastia Yadu, ma a dire il vero, ora Tu scappi di fronte al combattimento come un codardo. Ti sembra degno della Tua fama e della tradizione della Tua famiglia?" Kalayavana correva dietro al Signore a gran velocità ma, appesantito dalle contaminazioni della sua esistenza peccaminosa, non poteva raggiungerLo.

Secondo la cultura vedica chiunque non applichi nella vita quotidiana i princìpi regolatori seguiti dai varna superiori -brahmana, ksatriya, vaisya- o anche sudra, è considerato un mleccha. La società vedica è organizzata in modo che i sudra possono elevarsi gradualmente alla posizione di brahmana attraverso i samskara, o riti purificatori. In nessun caso, affermano le Scritture vediche, l'appartenenza al gruppo dei brahmana o dei mleccha è ereditaria; nell'era di Kali, tutti sono indistintamente considerati sudra fin dalla nascita. Per elevarsi al livello brahminico occorre sottoporsi ai riti purificatori, altrimenti ci si degrada ancora di più e si diventa mleccha. Kalayavana apparteneva al gruppo dei mleccha e degli yavana. Contaminato com'era dai suoi atti peccaminosi non poteva avvicinare Krishna. L'esistenza dei mleccha e degli yavana è caratterizzata da quelle attività da cui si astengono invece i varna superiori, cioè i rapporti sessuali illeciti, il gioco d'azzardo, il consumo di carne e d'intossicanti. Questi atti colpevoli sono altrettanti ostacoli che impediscono di progresso sulla via della realizzazione spirituale. La Bhagavat-gita lo conferma: solo colui che si è liberato da tutte le conseguenze dei suoi atti peccaminosi può impegnarsi nel servizio di devozione, cioè nella coscienza di Krishna.

Il Signore scomparve dunque dentro la grotta, e Kalayavana Lo seguì lanciandoGli dietro accuse. Là, nell'oscurità, la prima cosa che Kalayavana intravide fu la sagoma di un uomo sdraiato a terra addormentato; nella foga di combattere e nel suo orgoglio di guerriero pensò fosse Krishna che tentava ancora una volta di sottrarSi al combattimento facendo finta di dormire, e lo colpì con un violento calcio. Risvegliato brutalmente dal calcio di Kalayavana. quell'uomo che non era Krishna e dormiva in quella grotta da molto tempo, apre gli occhi e comincia a scrutare nella penombra... Vede infine Kalayavana che sta in piedi vicino a lui. Reso furibondo da quel risveglio prematuro, con lampi di fuoco che gli escono dagli occhi quell'uomo incenerisce Kalayavana fissandolo con uno sguardo spaventoso.

 

Così terminano gli insegnamenti di Bhaktivedanta sul quarantanovesimo capitolo del Libro di Krishna, intitolato: "Krishna erige il forte di Dvaraka".

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