Il Libro di Krishna

 

CAPITOLO 53

 

Krishna sconfigge tutti i principi
e porta Rukmini a Dvaraka

 

 

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Adirati alla vista di Krishna che portava via Rukmini, tutti i principi, capeggiati da Jarasandha, risalgono a cavalo, sugli elefanti, da cui erano caduti storditi per la bellezza di Rukmini raccolgono gli archi e le frecce e si lanciano all'inseguimento di Krishna. I soldati della dinastia Yadu fanno dietro front per trattenerli e una lotta furibonda scoppia tra i due eserciti. Nemici di Krishna, i principi condotti da Jarasandha sono tutti esperti combattenti e subito investono di frecce i soldati Yadu, come una nuvola che sferza il versante di una montagna con piogge torrenziali più violente che altrove proprio perché la nuvola è ferma contro il fianco della montagna.

Decisi a sconfiggere Krishna e riprenderGli Rukmini, i principi nemici combattono fino al limite delle forze. Rukmini, seduta accanto a Krishna, può vedere le frecce dei nemici piovere fitte sui guerrieri Yadu, e tremante di paura si volge verso il Signore con uno sguardo che esprime la gratitudine per Colui che per amore Si è assunto un rischio così grande. Gli occhi di Rukmini si muovono inquieti e il suo volto è triste, ma Krishna, indovinando il suo il suo pensiero, le fa coraggio: "Mia cara Rukmini, non temere, abbi fiducia, ti prego, presto i guerrieri degli Yadu avranno il sopravvento sui nemici."

Mentre Krishna parlava con Rukmini, i generali dell'esercito Yadu, guidati da Sri Balarama -che è conosciuto anche come Sankarsana e Gadadhara-, intolleranti dell'arroganza dell'avversario continuano a bersagliare di frecce i cavalli, gli elefanti e i carri nemici. Lo scontro si fa sempre più acceso; in gran numero gli uomini cadono, e in poco tempo il campo di battaglia si copre di teste mozzate e ancora adorne di corona e orecchini, e di mani tagliate che stringono ancora la mazza, l'arco e le frecce. Si ammucchiano le teste, i corpi dei cavalli si ammassano l'uno sull'altro: tutta la fanteria nemica -compresi cammelli, elefanti e asini- è là, a terra, schiacciata, coi corpi decapitati.

Quando i principi guidati da Jarasandha videro la catastrofe, pensarono che non valeva la pena di perdere una battaglia per amore di Sisupala, tanto più che Sisupala avrebbe dovuto essere il primo a combattere per riconquistare Rukmini e invece non sembrava capace di far fronte al nemico. Per evitare dunque un inutile spreco di forze decisero di ritirarsi dal combattimento e si allontanarono.

Alcuni principi si avvicinano per correttezza a Sisupala, e vedendolo così abbattuto, come un uomo che ha perso la sua sposa, col volto inaridito e un corpo dove s'è spento ormai ogni vigore, gli rivolgono parole d'incoraggiamento: "Caro Sisupala, perché scoraggiarsi così? Appartieni all'ordine reale e tra i guerrieri tu sei il maestro. Per un uomo come te non esiste felicità o sofferenza, che sono, come tu sai, condizioni transitorie. Coraggio, non lasciarti abbattere da una sconfitta passeggera. Dopo tutto, non siamo noi a dire l'ultima parola; come marionette nelle mani del burattinaio, noi danziamo la danza che vuole l'Essere Supremo, ed è solo per la Sua grazia che conosciamo la sofferenza o la gioia, che sempre si equilibrano."

All'origine della drammatica vicenda c'era la natura invidiosa di Rukmi, fratello maggiore di Rukmini. Rukmi avrebbe voluto vedere sua sorella sposa di Sisupala e vedendola rapita da Krishna si sentiva profondamente frustrato. Perciò, dopo che tutti se ne furono andati, Rukmi decise nella sua grande agitazione di vendicarsi personalmente di Krishna, e radunati i suoi guerrieri -una falange con migliaia di elefanti, cavalli, carri e fanti- si gettò all'inseguimento del Signore sulla via che porta a Dvaraka. Nella sua vanagloria, prima di partire lanciò una sfida a tutti i re che avevano abbandonato il campo: "Se voi non avete saputo aiutare Sisupala a sposare Rukmini, io, da parte mia, non posso lasciare che Krishna rapisca mia sorella, senza darGli una lezione. Perciò mi getto immediatamente al Suo inseguimento." Esaltando il proprio valore di guerriero Rukmi pronunciò questa promessa davanti all'assemblea dei principi: "Se non uccido Krishna in battaglia, se non gli porto via mia sorella, non tornerò mai più nella mia capitale, Kundina. Davanti a tutti voi faccio questo voto, e voi vedrete se sarò fedele alla parola data." Dopo queste presuntuose parole, Rukmi montò sul carro incitando il cocchiere a gettarsi subito all'insegnamento di Krishna: "Voglio affrontarLo subito. Questo giovane pastore Si è montato la testa con quel Suo modo sleale di opporSi agli ksatriya, ma oggi assaggerà la punta delle mie frecce e riceverà la lezione che Si merita per la Sua impudenza!" Minacce insolenti di un povero illuso che ignorava la grandezza e la potenza degli atti di Dio, la Persona Suprema.

Poco dopo Rukmi fu di fronte a Krishna e nella sua stupidità continuò a ripetere: "Non scappare! FermaTi e combatti!" Poi, afferrato l'arco, scocca con forza tre frecce accompagnandole con insulti: a sentire lui il Signore era il discendente più abominevole della dinastia Yadu, ma che rimanesse un istante solo davanti a lui e avrebbe ricevuto la lezione che Si meritava. "Come un corvo che ruba il ghi destinato ai sacrifici, gridò Rukmi, Ti stai portando via mia sorella! Sei fiero della Tua forza di guerriero, ma non sai combattere secondo le regole della cavalleria! Tu hai rapito mia sorella e ora sarò io a spogliarTi della Tua vanagloria. Tieniti pure Rukmini, non sarà per molto; giusto il tempo d'inchiodarTi al suolo con le mie frecce implacabili."

Rukmi aveva appena finito di pronunciare queste parole insensate che Sri Krishna gli spezza con una sola freccia la corda dell'arco; Rukmi prende un nuovo arco e scocca altre cinque frecce, ma Krishna, attaccato per la seconda volta, per la seconda volta spezza la corda dell'arco di Rukmi. Un terzo arco subisce la stessa sorte; ma questa volta, per dargli una buona lezione, Krishna lo raggiunge con sei frecce e subito dopo con altre otto: quattro fulminano i quattro cavalli del principe bellicoso, una uccide il cocchiere, e tre demoliscono la parte superiore del carro, compreso lo stendardo.

Esaurite le frecce, Rukmi ricorre alle spade agli scudi ai tridenti alle lance e ad altre simili armi che sono riservate per il combattimento corpo a corpo, ma con le Sue frecce Krishna fa a pezzi tutte queste armi una dopo l'altra. Ripetutamente battuto, Rukmi impugna la spada che porta al fianco e si scaglia su Krishna, come una farfalla si butta sul fuoco. Ma Krishna, spezzatagli la spada, ha già sguainato la propria e sta per vibrare il colpo fatale quando Rukmini, vedendo l'implacabilità del Signore, cade ai Suoi piedi di loto, il corpo scosso da tremiti di paura, e con voce grave Lo supplica di risparmiare il fratello.

"O Yogesvara" fu la sua prima parola. Il nome designa Colui che possiede un'opulenza e un'energia inconcepibili, al contrario di Rukmi, la cui potenza era limitata. Krishna è immensurabile, mentre si poteva misurare ogni passo della vita di Rukmi, che davanti all'infinita potenza di Krishna non era neppure paragonabile all'insetto più piccolo. Rukmini si rivolse a Krishna chiamandoLo anche Dio dei deva, perché Egli è il signore di tutti i potenti deva come Brahma, Siva, Indra e Candra, mentre il fratello di Rukmini non era che un uomo come gli altri, anzi, peggiore degli altri perché non capiva chi era Krishna; in altre parole, tutti coloro che non capiscono la vera posizione di Krishna occupano il gradino più basso della società. Poi Rukmini chiamò Krishna "Jagatpati", maestro dell'intera manifestazione cosmica, al cui confronto suo fratello non era che un principe qualunque.

Paragonando la posizione di Rukmì a quella di Krishna, Rukmini supplicava il suo sposo di non uccidere il fratello proprio nella lieta occasione della loro unione, ma di perdonarlo. Rivelava così la sua natura di donna: felice di ottenere Krishna come sposo nel momento in cui stava per celebrarsi il suo matrimonio con un altro. Rukmini non voleva che ciò avvenisse al prezzo della vita di Rukmì che dopotutto, le voleva bene e dandola in sposa a un principe che riteneva migliore non aveva desiderato altro che la sua felicità. Mentre implorava Krishna di risparmiare il fratello, Rukmini era tutta scossa da tremiti, i suoi vestiti si scomposero e le caddero i gioielli; l'angoscia le inaridiva il volto e le stringeva la gola. Sri Krishna ebbe compassione di lei e acconsentì a risparmiare lo stolto Rukmi; ma per non lasciarlo impunito, dopo averlo legato gli tagliò i baffi e la barba e i capelli, lasciandogli solo qualche ciuffo qua e là.

Nel frattempo, i soldati della dinastia Yadu comandati da Balarama in persona avevano schiacciato l'esercito di Rukmi, come un elefante che entrando in acqua schiaccia un fragile stelo di loto. Che sorpresa per i generali Yadu quando, ritornando da Krishna, videro la condizione di Rukmì! Sri Balarama fu mosso a compassione per la Sua nuova cognata e slegò personalmente Rukmi, anzi, per tranquillizzare ancora di più Rukmini, rimproverò Krishna con la Sua autorità di fratello maggiore: "Krishna, Ti sei comportato male. Tagliare i capelli a un uomo, rasargli i baffi e la barba equivale a ucciderlo. Quest'azione va contro la Nostra tradizione familiare. Poco importa ciò che Rukmi ha fatto in passato, ora è Nostro cognato, fa parte della Nostra famiglia, e Tu non avresti mai dovuto metterlo in questa condizione indegna."

Poi Sri Balarama volle rassicurare Rukmini e le disse: "Non rattristarti per lo strano aspetto di tuo fratello; ognuno soffre o gode delle conseguenze dei propri atti." Sri Balarama voleva farle capire che era inutile affliggersi per le sofferenze che suo fratello subiva in conseguenza dei suoi atti passati. Perché tanto affetto verso un simile fratello? Poi, rivolgendoSi ancora a Krishna, disse: "Caro Krishna, un parente, anche se colpevole di un crimine che merita la morte, dev'essere perdonato perché la consapevolezza di questa colpa sarà per lui il castigo supremo. A che serve dunque ucciderlo?" Quindi si rivolse ancora a Rukmini per spiegare che il dovere dello ksatriya nella società è tale che, secondo le regole del combattimento, un fratello può trasformarsi in un nemico da uccidere senza esitazione. Egli sottolineava così che Rukmi e Krishna avevano agito correttamente non risparmiandosi nello scontro, nonostante il nuovo legame di parentela. Gli ksatriya, il cui orgoglio cresce per ogni nuova acquisizione materiale, sono l'emblema della vita materialistica, perciò quando due ksatriya si affrontano per possedere un regno, una terra, delle ricchezze o una donna, o per ragioni di prestigio o di potere, cercano di ridurre l'avversario nella condizione più abominevole. Balarama indicò a Rukmini che il suo affetto per il fratello, che si era rivelato nemico di tanti uomini, era il frutto di sentimenti distorti, tipici del più comune materialista. Questo fratello non era affatto degno di essere amato se si considerava il suo atteggiamento verso gli altri, eppure Kukmini, come una donna qualsiasi, manteneva per lui un vivo affetto ed era ancora clemente con lui.

"Inoltre, continuò Balarama, classificare un essere come amico, nemico o neutrale, è proprio di chi ha un concetto dell'esistenza basato sul corpo ed è dunque ingannato dall'energia illusoria del Signore Supremo. L'anima spirituale mantiene la sua natura pura in qualunque corpo materiale si trovi, ma gli uomini dall'intelligenza limitata si fermano al corpo, alle designazioni -uomini e animali, letteralmente e illetterati, ricchi e poveri, e così via. Distinzioni, queste, che coprono l'anima spirituale pura, che riguardano solo il corpo e somigliano al tentativo di classificare il fuoco in base al combustibile che lo alimenta. La forma e il calibro del combustibile non influiscono sulla dimensione e sulla forma delle fiamme che alimentano, così neanche l'anima, come il cielo, cambia mai in dimensione e forma."

Con questi insegnamenti morali Balarama tranquilizzò Rukmini. "Il corpo fa parte della manifestazione materiale, aggiunse. A contatto con la materia l'essere vivente, o l'anima spirituale, trasmigra di corpo in corpo spinto dai piaceri illusori e sperimenta così l'esistenza materiale. Ma questo contatto dell'essere con la manifestazione materiale non può essere definito né assimilazione né separazione. Mia dolce e casta cognata, l'anima spirituale è senza dubbio la causa del corpo materiale, come il sole è la causa della sua luce, della vista e delle forme della manifestazione materiale." Questo paragone del sole e della manifestazione materiale si presta perfettamente a illustrare la natura della relazione che esiste tra gli esseri viventi e l'universo materiale.

All'alba, quando il sole sorge si manifestano gradualmente anche la luce e il calore, ed è il sole che permette la produzione di tutte le forme materiali e l'integrazione e la disintegrazione degli elementi materiali. Ma appena il sole tramonta, e si sposta altrove, la manifestazione che ha causato perde ogni contatto con esso. Quando il sole passa dall'emisfero orientale a quello occidentale la sua azione nel primo emisfero rimane, anche se ormai il sole è visibile solo nel secondo. Allo stesso modo, l'essere vivente assume o "produce" vari corpi e in differenti circostanze relazioni centrate sul corpo, ma appena abbandona il primo corpo per rivestirsi di un secondo egli perde ogni legame col corpo che ha abbandonato; e così avverrà anche col corpo successivo. L'essere vivente rimane sempre libero dal contatto con la contaminazione materiale rappresentata dal corpo. Si può dunque concludere che la nascita e la morte del corpo non toccano l'essere vivente più di quanto il crescere e il calare della luna non corrispondano a una vera modificazione di questo corpo celeste. Osservando la luna nella fase crescente e calante possiamo erroneamente pensare che stia ingrandendosi per poi rimpicciolirsi, ma in realtà la luna rimane sempre la stessa durante le fasi di crescita e di calo che noi osserviamo.

La percezione dell'esistenza materiale è come un sonno popolato di sogni: l'uomo che dorme sogna avvenimenti, tutti illusori, che sopraggiungono nella sua esistenza, e di conseguenza sperimenta diverse forme di felicità e sofferenza. Similmente, l'essere che è immerso nel sogno della coscienza materiale soffre per aver preso un corpo e per doverlo poi lasciare. La coscienza di Krishna è l'opposto di questa coscienza materiale, perché l'essere che si eleva al piano della coscienza di Krishna si libera da ogni falsa concezione dell'esistenza."

Questi gli insegnamenti sul sapere spirituale che Sri Balarama impartì alle persone presenti, poi concludendo Si rivolse alla cognata: "Dolce e sorridente Rukmini non lasciarti affliggere da motivi generati dall'ignoranza; la tristezza nasce solo da concezioni errate, e in un attimo si dissipa di fronte alla vera filosofia dell'esistenza. Solo a questo livello cerca la tua felicità."

A queste parole chiarificatrici Rukmini ritrovò subito la pace e la serenità e la lucidità di mente che aveva perso davanti alla degradazione di suo fratello. Quanto a Rukmi, egli non aveva saputo mantenere la promessa né portare a compimento la propria missione: partito dal suo palazzo con un intero esercito per sconfiggere Krishna e liberare sua sorella, egli aveva perso le truppe oltre che subire un'umiliazione personale. Il suo smarrimento non conosceva limiti, ma per la grazia del Signore poté continuare a vivere fino alla fine dei suoi giorni. Da vero ksatriya, Rukmi non aveva dimenticato il voto di rimanere lontano della sua capitale, Kundina, se non fosse riuscito a liberare la sorella e uccidere Krishna; perciò, sdegnato ma rassegnato andò a costruirsi una capanna nel villaggio di Bhojakata e là trascorse il resto dei suoi giorni.

Sconfitti i nemici e rapita Rukmini, Krishna la portò nella Sua capitale, Dvaraka, dove la sposò secondo i riti vedici, dopodiché fu incoronato re degli Yadu a Dvaraka. La sua unione con Rukmini riempì di felicità gli abitanti della capitale, e in ogni casa si celebrarono fastose cerimonie. Così grande era la gioia che tutti si vestirono con gli abiti e gli ornamenti più belli e andarono a offrire i loro regali alla giovane coppia, ciascuno secondo le proprie possibilità. Stendardi, festoni e fiori ornavano le case di Yadupuri (Dvaraka) e per l'occasione tutte le case, senza eccezione, esibivano un nuovo portale con due grandi giare colme d'acqua ai lati. La città intera respirava il profumo d'incensi squisiti e, la notte, migliaia di torce la illuminavano mettendo in rilievo lo splendore dei suoi edifici. Tutta la città era in festa per le nozze di Sri Krishna e Rukmini. Si vedevano ovunque alberi di banane e di betel, caratteristici delle cerimonie augurali, e ovunque sfilavano gli elefanti con i re dei paesi alleati. Come tutti gli elefanti, per natura giocosi, anche quelli arrivati a Dvaraka si divertirono a strappare e gettare qua e là gli alberelli e gli arbusti che incontravano sul cammino, cosiché si vedevano sparsi tutt'intorno alberi di banane e di betel; ma questo disordine dovuto all'euforia degli animali toglieva alla bellezza della città.

I re amici dei Kuru e dei Pandava erano rappresentati da Dritarastra, dai cinque fratelli Pandu, dal re Drupada, dal re Santardana e dal padre di Rukmini, Bhismaka. Il rapimento di Rukmini aveva creato qualche malinteso tra le due famiglie, ma dopo aver ricevuto la visita di Sri Balarama e l'invito convincente di numerosi uomini santi, Bhismaka, il re di Vidarbha, si era deciso a partecipare alle nozze di Krishna e Rukmini. All'inizio gli era stato difficile considerare il rapimento di Rukmini come un avvenimento felice per il regno di Vidarbha, ma dopo tutto rapire l'amata era cosa comune tra gli ksatriya, anzi abituale nei matrimoni, e poi lui era stato fin dall'inizio favorevole a Krishna. Quando vide dunque che in un modo o nell'altro il suo scopo era stato raggiunto, Bhismaka finì per unirsi con gioia ai festeggiamenti, nonostante la sconfitta e l'umiliazione del suo primogenito. Anche Maharaja Nanda e i pastori di Vrindavana, c'informa il Padma Purana, parteciparono alla cerimonia; per l'occasione giunsero a Dvaraka con tutto il loro seguito anche i re dei regni Kuru, Srnjaya, Kekaya, Vidarbha e anche Kunti.

Il rapimento di Rukmini divenne oggetto di molti poemi, che furono narrati dai menestrelli nelle corti, dove i re, e soprattutto le loro figlie, rimasero meravigliati e si rallegrarono in cuor loro delle imprese cavalleresche di Krishna.

Raggianti di gioia, i visitatori, come tutti gli abitanti di Dvaraka, accolsero in un'esplosione di felicità l'unione di Krishna e Rukmini: era la Persona Suprema, Colui che mantiene tutti gli esseri, che Si univa alla dea della fortuna.

 

Così terminano gli insegnamenti di Bhaktivedanta sul cinquatreesimo capitolo del Libro di Krishna, intitolato: "Krishna sconfigge tutti i principi e porta Rukmini a Dvaraka".

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