Il Libro di Krishna

 

CAPITOLO 71

 

La liberazione del re Jarasandha

 

 

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Davanti alla rispettabile assemblea composta da cittadini, amici e parenti -brahmana, ksatriya e vaisya-, inclusi i suoi fratelli, il re Yudhisthira si rivolse direttamente a Sri Krishna: "Caro Krishna, l'imperatore del mondo ha il dovere di compiere il sacrificio chiamato rajasuya-yajña, che è considerato il re dei sacrifici. Celebrandolo, desidero soddisfare tutti i deva, che sono autorizzati a rappresentarTi in questo mondo, e aspiro a ricevere il Tuo benevolo aiuto in questa grande impresa affinché il sacrificio riesca perfettamente. Da parte nostra, noi Pandava non abbiamo nulla da chiede ai deva, poiché siamo pienamente soddisfatti di essere Tuoi devoti. Tu dici nella Bhagavad-gita: "Le persone sviate dai desideri materiali dedicano ai deva la loro adorazione". Ma il nostro scopo è differente. Io voglio compiere questo sacrificio rajasuya e invitare i deva per mostrare che il loro potere non è indipendente dalla Tua Persona. Tu sei Dio, la Persona Suprema, e tutti sono Tuoi servitori. L persone sciocche e con scarsa conoscenza Ti considerano un uomo comune e talvolta cercano di trovare in Te degli errori, giungendo persino a diffamarTi. Perciò desidero compiere questo yajña e invitare tutti i deva, a cominciare da Brahma, Siva e gli altri illustri capi dei pianeti celesti. E davanti a questa grande assemblea di deva venuti da ogni parte dell'universo voglio proclamare che Tu sei Dio, la Persona Suprema, e che tutti gli altri sono Tuoi servitori!

"Caro Signore, coloro che sono sempre assorti nella coscienza di Krishna e meditano sui Tuoi piedi di loto o sulle calzature che li proteggono sono liberati da ogni contaminazione causata dall'esistenza materiale. Coloro che sono impegnati nel Tuo servizio in piena coscienza di Krishna e meditano su di Te soltanto e Ti offrono le loro preghiere, sono tutti esseri purificati. Sempre assorti nel servizio di devozione, si liberano dal ciclo delle nascite e delle morti. Non desiderano neppure sfuggire all'esistenza materiale o godere delle perfezioni di questo mondo, poiché questi esseri sono appagati dalle loro attività nella coscienza di Krishna. Quanto a noi, siamo completamente sottomessi ai Tuoi piedi di loto, e per la Tua grazia abbiamo l'immensa fortuna di vederTi in Persona. Così, noi non abbiamo più desiderio di benefici materiali. La conclusione della saggezza vedica è che Tu sei Dio, la Persona Suprema. Io voglio stabilire questa verità, e mostrare al mondo la differenza tra accettare Te come Dio, la Persona Suprema, e considerarTi invece soltanto un potente personaggio storico. Voglio provare al mondo che si può raggiungere la più alta perfezione dell'esistenza semplicemente prendendo rifugio ai Tuoi piedi di loto, proprio come si possono nutrire i rami, le foglie e i fiori di un albero semplicemente annaffiando la sua radice. Infatti, chi adotta la coscienza di Krishna raggiunge il fine della vita, sia sul piano spirituale sia su quello materiale.

"Non si deve però fare l'errore di pensare che Tu sei parziale con chi è cosciente di Krishna e indifferente con chi non lo è. Tu sei equanime con tutti, come Tu stesso ci assicuri. Situato nel cuore di ogni essere nella forma di Anima Suprema, Tu concedi a tutti il frutto degli atti interessati; come potresti essere parziale con alcuni e disinteressarTi degli altri? A ogni essere vivente Tu dai la possibilità di godere di questo mondo materiale come desidera. Come Anima Suprema, sei situato in ogni corpo accanto all'anima individuale, e sei Tu che le concedi i risultati delle sue azioni, ma anche la possibilità di volgersi verso il Tuo servizio di devozione e coltivare la coscienza di Krishna. Tu dichiari apertamente che bisogna abbandonarsi a Te, lasciare ogni impegno affinché Tu possa prenderTi cura di noi e alleviarci dalle conseguenze dei nostri atti colpevoli. Tu sei come l'albero dei desideri che cresce sui pianeti celesti e diffonde le sue benedizioni secondo i desideri di ciascuno. Tutti sono liberi di raggiungere la più alta perfezione, ma se questo non è il loro desiderio, chi potrà accusarTi di essere parziale quando accordi solo benedizioni di minore importanza?"

Sri Krishna rispose a Maharaja Yudhisthira: "Caro re Yudhisthira: "Caro re Yudhisthira, o vincitore dei nemici, o giustizia personificata, approvo perfettamente la tua decisione di compiere il sacrificio rajasuya. Per questo, il tuo nome resterà eternamente scolpito nella storia della civiltà umana. Caro re, sappi che tutti i grandi saggi, i tuoi antenati, i deva e i tuoi parenti e amici, Io compreso, desideriamo che tu compia questo sacrificio. Penso che ciò soddisferà ogni essere vivente. Ma poiché è necessario, ti chiedo di vincere, prima, tutti i grandi re del mondo e così riunire tutti gli elementi richiesti per la celebrazione di questo importante yajña. Mio caro re, i tuoi quattro fratelli rappresentano direttamente importanti deva come Vayu e Indra. (¹) Sono grandi eroi, e tu sei il re più virtoso, il perfetto padrone dei sensi, tanto che ti chiamano Dharmaraja. Siete tutti così ricchi di qualità devozionali che Mi fate concorrenza!"

Sri Krishna informò il re Yudhisthira del fatto che Egli è conquistato dall'amore di chi ha conquistato i sensi. Chi non ha dominato i sensi non può conquistare Dio, la Persona Suprema. Questo è il segreto del servizio devozionale. Controllare i sensi signifca impegnarli costantemente al servizio del Signore. E la caratteristica di tutti i fratelli Pandava era proprio quella d'impegnare sempre i sensi al servizio del Signore. Chi agisce in questo modo sarà purificato, e solo dopo aver purificato i sensi è possibile servire veramente Krishna, il Quale può essere conquistato solo dal devoto che si dedica al Suo sublime servizio d'amore.

Sri Krishna proseguì: "In tutti i tre mondi non c'è nessuno, nemmeno tra i deva, che superi i Miei devoti in una delle sei perfezioni -bellezza, ricchezza, fama, potenza, saggezza e rinuncia. Se tu desideri dunque vincere i re del mondo, mai nessuno di loro avrà la vittoria su di te!"

Mentre Sri Krishna incoraggiava Maharaja Yudhisthira con queste parole, il cvolto del re s'illuminò di una gioia tutta spirituale, come un fiore nel pieno del rigoglio. Egli diede subito ordine ai suoi fratelli minori di percorrere il mondo in lungo e in largo, e vincere tutti i re; e Sri Krishna diede loro pieni poteri perché eseguissero la Sua grande missione di punire gli infedeli miscredenti e proteggere i Suoi fedeli devoti. Perciò il Signore, nella forma di Visnu, porta nelle Sue quattro mani quattro simboli, un fiore di loto e una conchiglia, una mazza e un disco. La mazza e il disco li usa come armi contro gli abhakta, ma poiché Egli è l'Essere Supremo e Assoluto, l'effetto ultimo di ognuno di questi diversi oggetti è identico. Quando il Signore punisce i miscredenti col disco e con la mazza, lo fa perché vuole farli tornare in sé e vuole aiutarli a capire che non sono loro i supremi, ma al di sopra regna il Signore. E quando fa risuonare la Sua conchiglia e offre benedizioni col fiore di loto, Egli assicura il bhakta che non sarà mai vinto, neppure nei più grandi pericoli. Rassicurato così dalle parole del Signore, il re Yudhisthira ordinò a suo fratello più giovane, Sahadeva, di andare a conquistare i regni del sud, scortato dai guerrieri della tribù Sriñjaya; ordinò poi a Nakula di sottomettere i regni dell'ovest con l'aiuto dei guerrieri del Matsya-desa; mandò quindi Arjuna e i guerrieri del Kekaya-desa a vincere i re del nord, e chiese a Bhimasena di assoggettare quelli dell'est con l'aiuto dei guerrieri del Madradesa (Madras).

E' importante capire che inviando i fratelli a conquistare i vari regni del mondo, Maharaja Yudhisthira non aveva intenzione di dichiarare la guerra ai re: i Pandava desideravano solo informarli dell'intenzione di Yudhisthira di compiere il sacrificio rajasuya, perciò ognuno doveva versare un tributo all'imperatore per partecipare alle spese del sacrificio. Ora quando un re pagava il suo tributo accettava con questo gesto la sovranità dell'imperatore. Se un re non voleva pagare si doveva ricorrere alle armi. Così, col loro ascendente e la loro potenza, i fratelli Pandava conquistarono tutti i regni del mondo e raccolsero tributi e offerte a sufficienza, che furono presentati al re Yudhisthira.

Ma l'imperatore si turbò nell'apprendere che il re Jarasandha di Magadha non aveva accettato di pagare il tributo. Vedendo la sua ansia, Sri Krishna lo informò del piano di Uddhava per uccidere Jarasandha. Bhimasena, Arjuna e Krishna partirono dunque per Girivraja, la capitale del regno di Jarasandha, travestiti da brahmana. L'idea che Uddhava aveva proposto prima della partenza di Sri Krishna per Hastinapura si stava ora attuando.

Jarasandha era un grhastha ligio ai suoi doveri e portava grande rispetto ai brahmana. Potente guerriero e re ksatriya, egli non trascurava mai gli insegnamenti dei Veda, secondo cui il brahmana devono essere considerati i maestri spirituali di tutti gli altri varna. in realtà, Sri Krishna, Arjuna e Bhimasena erano ksatriya, ma si travestirono da brahmana e si presentarono così davanti a Jarasandha nell'ora in cui il re si apprestava a fare doni caritatevoli ai brahmana.

Sri Krishna prese la parola: "Auguriamo ogni gloria a vostra maestà! Noi siamo ospiti nel tuo palazzo, siamo venuti da lontano per implorare la tua carità con la speranza che la tua bontà esaudisca tutti i nostri desideri. Noi conosciamo le tue buone qualità. L'uomo tollerante è sempre pronto a sopportare ogni cosa, anche se ciò gli procura dolore. Come un criminale può abbandonarsi agli atti più abominevoli, così una persona caritatevole come vostra maestà può dare tutto ciò che gli viene chiesto. Per un grande personaggio come te non esistono distinzioni tra parenti ed estranei. Un uomo celebre vive per sempre, anche dopo la morte; e chiunque sia in grado di compiere atti che possono perpetuare la sua fama, ma si rifiuti di compierli, diventa subito reprensibile agli occhi delle persone rispettabili. Quell'uomo non sarà mai condannato abbastanza, e il suo rifiuto di fare la carità sarà per lui motivo di lamento per il resto della sua vita. Vostra maestà ha sentito senz'altro i gloriosi nomi magnanimi Hariscandra, Rantideva e Mudgala, che vivevano solo di cereali raccolti nei campi dopo la mietitura; e del grande Maharaja Sibi, che salvò la vita di un piccione sacrificando la carne del proprio corpo. Questi grandi personaggi hanno acquisito una fama immortale solo per aver sacrificato il loro corpo perituro." Così Sri Krishna, sotto le spoglie di un brahmana, informava Jarasandha che la fama, a differenza del corpo materiale, è imperitura. E colui che può rendere immortale il proprio nome sacrificando il proprio corpo diventa certamente un personaggio rispettabile nella storia dell'umanità.

Mentre Sri Krishna, che era accompagnato da Arjuna e Bhima, Si esprimeva così, Jarasandha notò che i tre non avevano affatto l'aspetto di veri brahmana. Alcuni segni sul loro corpo indicavano che erano degli ksatriya. Le spalle segnate dalla traccia dell'arco, la statura imponente e la voce autoritaria fecero concludere al re che non poteva trattarsi di brahmana, ma di ksatriya. Era anche convinto di averli già visti da qualche parte. Ma anche se erano ksatriya, erano pur sempre venuti alla sua porta a chiedere la carità come dei brahmana. Decise dunque di esaudire le loro richieste, pensando che la loro dignità era già sminuita dal fatto che si erano presentati a lui nelle vesti di mendicanti. "Date le circostanze, pensò, sono pronto a concedere loro qualunque cosa. Anche se chiedessero il mio corpo, non esiterei a offrirglielo." Jarasandha si ricordò allora di Bali Maharaja.

Sri Visnu, nelle vesti di un brahmana, era apparso come un mendicante davanti a Bali e gli aveva sottratto tutte le ricchezze e il regno. Visnu aveva agito così a beneficio di Indra che, sconfitto da Bali Maharaja è tuttora glorificato nei tre mondi come un grande bhakta che fu capace di dare tutto in carità. Bali Maharaja aveva il sospetto che quel brahmana non fosse altri che Visnu in Persona, venuto per impadronirSi del suo ricco regno a beneficio del re Indra. Il suo maestro spirituale, Sukracarya, che era anche il sacerdote di famiglia, lo mise più volte in guardia, ma Bali non esitò a dare ciò che il brahmana gli chiedeva, e alla fine gli diede ogni cosa. "Sono assolutamente deciso a fare di tutto pur di conquistare una fama immortale, pensava Jarasandha, anche a costo di sacrificare questo corpo effimero; l'esistenza di uno ksatriya che non vive per il bene dei brahmana è certamente condannabile."

In realtà, il re Jarasandha era molto generoso verso i brahmana, perciò rivolgendosi a Sri Krishna, a Bhima e Arjuna disse: "Cari brahmana, voi potete chiedermi tutto ciò che desiderate. Se volete, potete prendere anche la mia testa. Sono pronto a darvela."

Sri Krishna rispose: "Caro re, sappi che noi non siamo veri brahmana, né siamo qui per chiederti in dono cereali o altri cibi. Noi siamo degli ksatriya e siamo venuti a chiederti di batterti in duello con uno di noi; ci auguriamo solo che tu soddisfi la nostra richiesta. Sappi che questo è Bhimasena, il secondo figlio del re Pandu, e questo è il terzo, Arjuna. E Io non sono altri che il tuo vecchio nemico, Krishna, il cugino dei Pandava."

Sri Krishna aveva appena rivelato la Sua identità che Jarasandha scoppiò in una fragorosa risata, e infuriandosi esclamò con voce tonante: "Sciocchi! Se volete battervi con me, eccovi accontentati! Ma Tu, Krishna, so che sei un codardo; mi rifiuto di combattere con Te perché Ti fai prendere dallo sgomento ogni volta che ci scontriamo in battaglia. Per paura sei fuggito dalla Tua città, Mathura, e ora Ti sei rifugiato nell'oceano; non voglio battermi con Te. Quanto ad Arjuna, è più giovane di me, e la sua forza è inferiore, non posso dunque competere con lui, sarebbe una lotta impari. Ma Bhimasena, sì, lui mi sembra degno della mia potenza." Pronunciate queste parole, Jarasandha porge una pesante mazza a Bhimasena, ne afferra un'altra per sé, ed escono entrambi dalla città per affrontarsi.

S'inizia allora tra Bhimasena e Jarasandha un terribile duello e nell'ardore della lotta i due si colpiscono violentemente con le mazze, potenti come folgori. Così grande è la loro arte nel combattimento con la mazza, così bella e perfetta è la loro tecnica, che sembrano danzare come due attori sulla scena. Incrociandosi, le mazze di Bhimasena e Jarasandha risuonano come due elefanti in lotta che si scontrano con le loro enormi zanne o come il tuono che è trafitto dai fulmini in mezzo a un uragano. Quando due elefanti si affrontano in un campo di canna da zucchero afferrano un tronco e lo stringono saldamente nella proboscide per colpirsi a vicenda. I colpi piovono, terribili, sul dorso, sulle zampe anteriori e posteriori, sul petto e sulle cosce, finché le canne da zucchero non finiscono tute in pezzi, come le mazze usate da Jarasandha e Bhimasena. E i due nemici si preparano a lottare corpo a corpo. Pazzi di rabbia, prendono a colpirsi violentemente coi loro pugni d'acciaio.

Ogni colpo risuona come una sprangata o un tuono. Jarasandha e Bhimasena sembrano proprio due elefanti in lotta. Purtroppo nessuno dei due riesce ad avere il sopravvento sull'altro, perché entrambi sono molto esperti nell'arte del combattimento, entrambi hanno la stessa forza, e sono uguali anche le loro tecniche di lotta. Continuano a colpirsi senza tregua, ma non si sentono stanchi o sconfitti, e alla fine di una giornata di lotta tutt'e due trascorrono la notte come amici nel palazzo di Jarasandha per riprendere lo scontro il giorno successivo. Passano così ventisette giorni. E al ventottesimo giorno di combattimento Bhimasena si rivolge a Krishna: "Krishna, devo ammettere francamente che sono incapace di vincere Jarasandha."

Sri Krishna, però conosce il mistero della nascita di Jarasandha. Il re nacque in due parti, generato da due madri diverse. Quando suo padre vide il disastro, gettò le due metà nella foresta, dove furono trovate più tardi da una strega dal cuore chiamata Jara, che riuscì a riunire dall'alto in basso le due parti del neonato. Sapendo questo Sri Krishna sapeva anche come mettere fine ai giorni di Jarasandha e voleva far capire a Bhimasena che, poiché Jarasandha era stato portato in vita unendo le due metà del suo corpo, avrebbe perso la vita se fosse stato di nuovo separato in due. Sri Krishna trasferisce dunque la Sua potenza nel corpo di Bhimasena, e lo informa del modo con cui Jarasandha può essere ucciso. Coglie subito un ramoscello e lo biforca con le mani, indicando a Bhimasena come vincere Jarasandha. Sri Krishna, Dio, la Persona Suprema, è onnipotente: se vuole uccidere una persona nessuno può salvarla, ma se vuole salvarla nessuno può ucciderla.

Bhimasena afferra Jarasandha per le gambe e lo sbatte a terra. Rapidamente, tenendogli ferma al suolo una gamba afferra l'altra con tutt'e e due le mani e lacera in due il corpo del re, dall'ano alla testa, come un'elefante spezza in due i rami di un albero. Gli spettatori più vicini possono vedere il corpo di Jarasandha diviso in due metà, ciascuna con una gamba, una coscia, un testicolo, metà petto e metà colonna vertebrale, una clavicola, un braccio, un occhio, un orecchio e metà faccia.

Alla notizia della morte di Jarasandha, tutti i cittadini di Magadha presero a gridare "Ahimé, ahimé!, mentre Sri Krishna e Arjuna abbracciavano Bhimasena per congratularsi con lui. Morto Jarasandha, né Krishna né i due fratelli Pandava avanzarono pretese al trono, poiché avevano ucciso il re solo per impedirgli di disturbare la loro opera .per ristabilire la pace del mondo. Gli asura sono sempre fonte di disturbo per il mondo, mentre i deva cercano sempre di mantenere la pace. La missione del Signore è quella di proteggere i virtuosi e sconfiggere gli asura che turbano la pace universale. Così Sri Krishna fece venire subito il figlio di Jarasandha, Sahadeva, per chiedergli di occupare, con le cerimonie rituali adatte, il trono del padre e di governare pacificamente il regno. Sri Krishna è il maestro dell'intera creazione cosmica e il Suo desiderio è quello di vedere tutti gli esseri che vivono in pace nella coscienza di Krishna. Dopo aver stabilito Sahadeva sul trono, Egli liberò tutti i re e i principi che erano stati ingiustamente imprigionati da Jarasandha.

 

Così terminano gli insegnamenti di Bhaktivedanta sul settantunesimo capitolo del Libro di Krishna, intitolato: "La liberazione del re Jarasandha".

 

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(1) Si dice che Bhima sia nato dal deva Vayu, Arjuna dal deva Indra e Yudhisthira dal deva Yamaraja.

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