I Veda sono gli antichi testi di saggezza spirituale che vengono tramandati da maestro a discepolo sin da tempo immemorabile.
Il termine Veda può essere riportato alla radice sanscrita vid, che significa “sapere” o “conoscenza”; esso ha attinenza con le parole inglesi “wit” e “wisdom”, con la parola “idea” (originariamente widea) dal greco e con la parola “video” dal latino (uno che sa, vede la verità; da cui: video).
Srila Prabhupada scrive: “La parola Veda significa ‘libro di conoscenza.’ Ci sono molti libri di conoscenza che variano a seconda del paese, della popolazione, dell’ambiente ecc... Lo scopo di questi libri è di trasmetterci conoscenza in modo istruirci gradualmente sulla nostra condizione originale d’esseri spirituali. La ramificazione della letteratura vedica è così ampia e dettagliata da arrivare a fornire guida per ogni essere vivente, e ciò avviene con modalità specifiche per le varie tipologie d’individui. Queste sono fra le più ampie definizioni di Veda. In un senso più ristretto - quello che è più familiare alla maggior parte degli studiosi - il termine Veda si riferisce alle quattro samhita (libri sacri) compilati in India da Vyasadeva, un’incarnazione di Krishna, apparsa cinquemila anni fa.
Secondo la tradizione, tuttavia, prima della stesura il contenuto dei libri era trasmesso oralmente.
Le quattro Samhita ebbero origine come un’unica opera, ma poi Vyasadeva le divise in Rig Veda (il Veda dei suoni sacri), il Sama Veda (il Veda delle melodie), lo Yajur Veda (il Veda dei riti) e l’Atharva Veda (il Veda degli incantesimi).
In generale sono anche incluse nel corpus vedico le 108 Upanishad, elaborate spiegazioni filosofiche dei quattro Veda.
Le Upanisad, dicono gli stessi antichi testi, furono rivelate ai saggi realizzati e sono pertanto chiamate shruti, o “ciò che è ascoltato”. Questo le colloca nella stessa categoria dei quattro Veda e dei loro corollari.
Lo Srimad Bhagavatam (Bhagavata Purana) è la più elevata fra le opere di Vyasadeva. Uno dei suoi versi dice: “Questo Bhagavata Purana risplende come il sole... Coloro che a causa delle dense tenebre dell’ignoranza, in quest’era di Kali (quella attuale), hanno perduto la loro visione spirituale, verranno illuminati da questo Purana.”
Quando lo sconforto mi assale e nella solitudine nessun raggio di luce m’illumina, l’unica mia fonte di sollievo è la Bhagavad-Ghita. Coloro che meditano sulla Ghita derivano sempre una felicità fresca e nuove realizzazioni.
Nessun testo sacro è ambientato in uno scenario intrigante come quello della Bhagavad-Gita. Il dialogo tra il guerriero Arjuna e Sri Krishna, la Persona Suprema, avvenuto prima della battaglia di Kurukshetra, universalmente riconosciuto come il gioiello della saggezza spirituale dell’India.
Paralizzato dalla paura di uccidere i suoi parenti, amici e maestri d’armi nell’esercito nemico, Arjuna decide di non combattere mettendo da parte il suo dovere sociale di kshatriya (guerriero). Krishna, che ha accettato di diventare l’auriga di Arjuna, gli spiega sul campo di battaglia i suoi doveri di guerriero con molta eloquenza. La conversazione si muove attorno a una serie di domande e risposte su concetti metafisici come l’anima, il rapporto con Dio, la liberazione, il Karma Yoga (il principio dell’azione disinteressata), il Jnana Yoga (la conoscenza) e il Bhakti Yoga (la devozione).
Nel tradurre la Gita, A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada ha reso accessibili tutti i segreti dell’antica conoscenza di quest’opera offrendoci un’interessante opportunità di elevazione individuale e di realizzazione spirituale. La “Bhagavad-Gita così com’è” è l’edizione più venduta della Gita nel mondo occidentale ed è stata tradotta in più di 76 lingue.